domenica 14 febbraio 2010

Non Ti Domando

Non ti domando da dove vieni
Nemmeno dove andrai
Importante è che tu sia arrivata.
La strada taglia in due
Superfici di sassi malferme
Quanti cristiani mi hanno visto nudo?
Abbasso lo sguardo alla paura
Ed aspetto clienti
Con il dolore della sconfitta
Io zucchero in un mondo di diabetici.
Offro cartoline agli amici
Ma quando parlo di lotta
Penso ai tuoi fianchi.
Nella solitudine del ponte di coperta
E nelle corse di cavalli truccate
All’asta di un circo fallito
Stringo mani di morbida flanella
Che mi accarezzano il viso.
Piume d’oca come sbirri
Si conficcano nelle mie vene
E mi costringono a vivere
Con il vuoto nella ossa.
Attenti non avvicinatevi!
L’imbarcazione è troppo stretta
Ed io
Sto inventariando la mia merce.
Scatenare il talento in uno sproloquio
Senza lasciarlo decantare
Afferrando solo spazzatura
Abbandonando per strada i feriti
Incerti verso l’orizzonte
Arrostire lentamente i fantasmi.


Quando ti guardo
perdono il mio passato.
Me lo sussurra
il tuo sguardo,
lo dimostra il tuo sorriso.

Economizzerò la mia pietà
grande come un pugno
ed il filo dei coltelli
e compiaciuto cliente
finirò come lo zucchero
sul fondo del boccale.

In qualche posto osserverai
come torre davanti al mare
conficcata in un cielo d'inverno
i tappeti della mia mercanzia esposta
che giustifica il mio mestiere.

Qual è il prezzo giusto
per questa serie di ami?

Una moneta per l'acqua bollente?
due per lo zucchero?

L'aria profuma di legno e di mare
fra sospiri, impeti e sconfitte
con suoni duri come scogli
rispondi


Riempio i polmoni di solitudine
e di ridicola idea cristiana
d'inferno che falcia il ghiaccio.
Io sono riservato al vento
ma i miei occhi radicano
nelle crepe,
come seme migrante,
con la verticalità più ribelle.

Cestini di spazzatura sono esperienze
Di trasparenti passi senza impronta
Che tracciano i confini della patria dei morti.
Nuda sulla neve suoni tamburi
Per le tue mutande nere
E per la fragilità dei miei sandali


Souvenir sempre in fuga sono riflessi sullo specchio
Il giorno dei galli senza canto
Sembra attrarre l'orrore dei saluti


Insegno nuvole per mantenermi fermo
Camminando sui rombi dei miei calzini
Sbircio dalla fessura di una donna
I fili telefonici ancora tesi
Questo è ciò che m’importa
Ho gli stessi sogni
Di un legno carbonizzato
Oggi

In una cerimonia da mezzo chilo
Mi chiami con nessun nome.
I tuoi lineamenti netti
Sono fotografie sui muri
Di una fangaia creata all’improvviso.

Il mazzo di carte stese a terra
Le tue mutande da vetrina
Il manifesto di Mirò incerto
Come un calcio in pieno viso
Rido
Del mio essere esilio
Romanzo inedito di me stesso

Ballammo con i corpi separati
Nella sala invasa dalla notte
Io quarto di manzo appeso al gancio
In quella cella frigo quadrata
Accanto alla palude della mia anima
Fumammo le nostre pipe d’acqua
come puttane clandestine radiottive


La vita lungo il fiume è pesante
Almeno quanto il panorama
Colto da bordo di un lento camion in fuga.
Infilavo pasticche di vitamina C
Tra le tue sottili gambe sempre distanti
Ed entrammo in una dignità teatrale
Oggi sacrificio di bellezza

Apri pure la tua bocca
Ti ascolterò tre volte
Poi
Mentre l’acqua bollente
Si tingerà di rosso
La fune reclamerà il suo peso
Appeso
Ed i tuoi occhi canne mozze
Mi porteranno alla botola
Ed il corpo sfoggerà indossandola
La solitudine del suo vissuto.

Sto guadagnando le mie medaglie
E
Ottantadue risate roche m’accolgono in spagnolo.

Io donna non fortifico il mio materasso
Io uomo pedalo in tandem su lettere non scritte
Io cane cado in un pozzo artesiano come pioggia di scintille
Io pigmento cammino scalzo sulla tela
Io coito vesto scarpe a punta per calciarti
Io poeta cavalco segugi di un inferno infarcito di melassa
Io lacrima scorro fino al tuo ombelico sabbia mobile
Io marinaio danzo soddisfatto sulla fica di tua madre
Io becchino ricopro buche con la luce della Luna
Io pasticcino caduto a terra lecco la bocca di una formica rossa
Io filo da cucire canto selvaggiamente canzoni di lotta
Io radicale raccolgo ovaie distratte da liquidi ormonali

Ho orrore di qualunque donna che non abbia voluto amarmi

Dalla tua fessura di donna vorrei
Vedere:
la luce dell’obitorio con tonalità miele
l’alluce del piede destro riflesso nel tuo iride
la gente all’uscita del cinema piena di liquido rosa
l’intimità di qualunque corpo con vago odore di caffè
i peli del tuo pube gocciolare sotto la doccia
Percepire:
un annaffiatoio di plastica ruttare vino
il suono delle tue ginocchia su di un cactus
il rumore di un’aspirina viola deglutita in fretta
il graffio del tuo codice a barre che fotte il mondo
il rimbalzo di una moneta francese che rotola in Angola.
Sognare:
un pezzo di legno stretto in una valigia
una lingua verde innamorata di me
le scarpe splendenti di una puttana
la cassetta dell’elemosina fissata ad un gluteo
uno specchio coniugale in visita al sindacato dei vetri infranti
il balletto del tuo mormorio seduto a cena
una soluzione fisiologica che mi renda trasparente
per fotterti solo fino al mattino
di un giorno nato già ieri.



Sergio Davanzo 14.2.2010

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